C'era due volte il barone Lamberto,
Einaudi ragazzi
Entro e mi sento a casa. Ogni volta che varco la porta a vetri di questo nido, rischio di perdere tutto lo stipendio e mi devo trattenere, bloccare le mani e frenare l’impulso di comprare libri per bambini a volontà: sono stata di nuovo folgorata dalla mia passione, che era in letargo, accucciata nel mio cuore in questi due anni di familiarizzazione del nuovo universo.
Da novembre 2018 insegno alla Scuola Europea, maestra unica
di una classe italiana. La ricerca dei libri è dunque per loro, i miei alunni. I
bambini e le bambine con cui lavoro sono tutti poliglotti, sanno parlare e
leggere in più lingue, minimo tre. Tengo
tantissimo a coltivare con loro la passione per la lettura gratuita, senza
obblighi di aride schede e riassunti demoralizzanti. Non ho potuto traslocare tutti i miei
scaffali di libri per ragazzi e così sono stata “costretta” a trovare un
“rimedio” alla mancanza. Se ho bisogno di un titolo sono sicura di trovarlo da
Silvia. Uno dei primi libri acquistati in questa libreria (e recapitati a
domicilio) è stato “C’era due volte il barone Lamberto” di Gianni Rodari,
divorato in un soffio, letto e riletto, anche ad alta voce per me sola.
Durante il confinamento la lettura per puro diletto è stata impresa ardua, le ragioni sono tutte ancora da esplorare. Mi ha aiutato moltissimo RaiPlay Radio, l’archivio ricchissimo di romanzi della rubrica Ad alta voce di Radio Tre. Per rilassarmi e distendere la tensione dal lavoro prolungato al computer, ho cominciato a leggere con le orecchie libri parlanti, alcuni dei quali conoscevo già. È così che sono stata incantata dal timbro di Manuela Mandracchia che ha donato il suo talento per dare vita palpitante al barone Cosimo di Rondò e al bizzarro, stravagante barone Lamberto dell’isola di San Giulio. Non mi stancherei mai di ascoltarla: la sonorità cristallina, la dizione precisa e calda della Mandracchia è stata come un balsamo e ha riaperto fessure, varchi, ha scompigliato le carte e fatto riaffiorare quel gusto immenso, potente di offrire la propria voce per leggere per altri. Soprattutto, ha scatenato esplosioni di risate e soffiato in casa molto buon umore. Da qui è scattata la molla di leggere ad alta voce per i miei alunni a casa. Il nuovo tesoro scoperto alla radio l’ho tenuto però in serbo per quando saremmo rientrati a scuola, perché desideravo un coinvolgimento speciale, una condivisione in presenza per questo romanzo, che stranamente non avevo mai letto da bambina e da ragazza.
Il libro sorprendente di Rodari l’ho potuto leggere solo a settembre 2020, con una nuova classe, una quinta numerosissima che ha amato, come prevedevo, la storia e tutto quello che essa suscita, in chi legge e in chi ascolta. Non nascondo che in me risuonava ancora lo stile della Mandracchia; ho dovuto cercarne uno mio, ma il ritmo, l’intonazione, i picchi e le pause, l’intensità nei dialoghi li ho mutuati in parte da lei.
In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al
lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio. Sull’isola di
San Giulio c’è la villa del barone Lamberto, un signore molto vecchio, assai
ricco, sempre malato. Le sue malattie sono ventiquattro.
Lamberto è un signore parecchio eccentrico. È
ipocondriaco ma in fondo è affezionato alle sue malattie, che tiene
sotto controllo facendone una verifica minuziosa attraverso un bizzarro
appello, cui partecipa il suo maggiordomo Anselmo. Ogni anno, in inverno,
Lamberto e Anselmo vanno in Egitto, per scaldare le ossa. La nostra storia
comincia proprio così, con una breve presentazione del protagonista e con un
incontro surreale sulle rive del Nilo. Qui i due viaggiatori si imbattono in un
santone arabo, che pronuncia una formula magica, un segreto dei faraoni, che
sarà l’antefatto di tutta la rocambolesca vicenda che anima il romanzo.
L’uomo il cui nome
è pronunciato resta in vita.
In seguito a tale incontro inaspettato il barone e il
maggiordomo volano di corsa a casa e qui iniziano una serie di esperimenti. Lamberto
assume sei persone, che vivranno nelle soffitte della villa, ben nascoste: guai
a rivelare questo segreto a chiunque. I suoi misteriosi impiegati, pagati
profumatamente, svolgeranno un ruolo fondamentale nello sviluppo degli eventi.
Il loro lavoro consiste nel pronunciare ad alta voce il nome del barone, senza
alcuna interruzione, di giorno e di notte. I sei dipendenti devono fare i
turni, darsi il cambio, in quanto è assai faticoso ed usurante pronunciare
senza sosta un nome ad alta voce. Una fitta rete di fili e di altoparlanti
attraversa la villa, portando in ogni stanza, in ogni angolo della casa, la
voce dei “dicitori” che pronunciano sempre la stessa parola, un nome proprio:
Lamberto,
Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…
Mentre lavorano, i dicitori possono dedicarsi ad altre faccende, per non annoiarsi, per tenersi svegli. In cambio dell’insolito lavoro, di cui non conoscono ragioni e prodotto, ricevono un lauto stipendio più vitto, alloggio e caramelle a volontà. Una signora in particolare si pone domande, Delfina. Si chiede per quale motivo devono pronunciare sempre lo stesso nome. Gli altri cinque non le badano molto: in cambio di quella paga, tirano avanti a fare ciò che gli viene chiesto e si tengono occupati pescando dalle finestre o lavorando a maglia.
Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…
Lamberto inizia a star meglio, il numero delle malattie diminuisce a vista d’occhio e, a vista d’occhio, Lamberto ringiovanisce. Recuperando forza e bellezza, levigatezza di pelle e brillantezza di capelli, energia fisica e mentale, Lamberto sembra cambiare anche su altri aspetti. Si dedica allo sport, va a nuotare nel lago, fa ginnastica, è sempre attivo in qualcosa. Nel frattempo, gli amministratori delle sue ventiquattro banche, anche loro di nome Lamberto, amministrano le sue ricchezze. Nel frattempo, Delfina è sempre più perplessa e in soffitta si continua a lavorare, instancabilmente.
Non voglio rovinare il gusto della sorpresa, rivelare tutti i segreti del libro né svelare del tutto il finale. Sarebbe una perdita per il lettore. Mi preme raccontare ciò che è accaduto in classe e cosa è arrivato ai bambini e alle bambine, senza nessuna mia sollecitazione.
Leggevo camminando, saltellando, animandomi tutta, voce e corpo, immergendomi di nuovo nella storia e nella sonorità dei timbri cangianti delle voci dei personaggi assorbite alla radio: le udivo ancora dentro di me, come un rapimento.
Lamberto,
Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…
Mentre leggevo, mi accorgevo che stava accadendo qualcosa, in loro e in me: un barlume di consapevolezza ci ha investito: nominare qualcuno lo rende vivo, ancora più vivo di quanto non sia già.
Il segreto dei faraoni lo stavamo comprendendo nello stesso momento, senza rivelarlo: il nostro nome ci definisce, ci completa, è un elemento fondante la nostra vita, qualifica il nostro esserci qui ed ora.
Un giorno, non ricordo come sia successo, chiuso un capitolo, ho iniziato a pronunciare il nome proprio dei bambini, passando da uno all’altra. Mi hanno seguita e s’è creato quel caos bellissimo che benedico sempre nel mio mestiere.
Il nome proprio, che sia di genere maschile o femminile, non è un elemento dell’analisi grammaticale. È Lamberto il suo senso. Rodari ci ha fatto un dono impagabile.
L’enigma del santone lo abbiamo sbrogliato insieme a Lamberto, che alla fine del romanzo, rinato fanciullo, si prepara ad essere una persona intera e spiazzerà tutti, anche i lettori. Ma questo lo scoprirete da soli.
(Quando un libro amato termina, rimane sempre un amaro in bocca. Si vorrebbe ricominciare. E allora suggerisco di rileggerlo, magari cullati dall’ avvincente intenzionalità di Manuela Mandracchia: