domenica 27 dicembre 2020

L'atto creatore

Gianni Rodari
C'era due volte il barone Lamberto,
Einaudi ragazzi

Adatto per bambini e bambine a partire dai dieci anni

Lussemburgo, la piccola libreria italiana (LIL): calda, accogliente, piena di tesori preziosi.
Entro e mi sento a casa. Ogni volta che varco la porta a vetri di questo nido, rischio di perdere tutto lo stipendio e mi devo trattenere, bloccare le mani e frenare l’impulso di comprare libri per bambini a volontà: sono stata di nuovo folgorata dalla mia passione, che era in letargo, accucciata nel mio cuore in questi due anni di familiarizzazione del nuovo universo. 
La ragazza che gestisce la libreria è una vera libraia, è un grande piacere parlare con lei, Silvia: non è come acquistare libri alla Feltrinelli o altrove. Lei c’è, non è un’impiegata, non è una mercante; è pienamente immersa nel suo mestiere, con il sorriso. 
Avevo dimenticato cosa volesse dire frequentare una vera libreria che è anche uno spazio di incontri, di scambio, di eventi culturali: un luogo dell’anima per chi ama leggere e maneggiare libri cartacei, annusarli, assaporarli voltando pagine reali, luminose per le parole. 
Durante il confinamento Silvia portava i libri nelle case, fisicamente, porta per porta: la libraia quindi non ha mai interrotto il dialogo con i suoi clienti ma sicuramente ha un altro gusto uscire di casa, avventurarsi nelle stradine della città bassa, il Grund, diretti al numero 11 di rue Saint Ulric per andarla a trovare.  
Il locale è piccolo ma raccolto e sembra dilatarsi a dismisura perché appena entri sai che puoi sostare  a lungo, prendere tutto il tempo che ti serve per guardare gli scaffali. Gli avventori sono quasi tutti italiani, ma non solo. Siamo ancora tanti qui a Lussemburgo, atterrati su questo pianeta finanziario per varie ragioni e spinti da diverse motivazioni. Lo sapevo, ma ogni volta mi sento come in uno spazio senza porte e confini, un po’ frastornata quando sento parlare italiano intorno a me, quando distinguo voci sonore che formulano richieste di titoli.  Magari sono bancari, assicuratori, statisti, dirigenti o impiegati della Ferrero e di Amazon, funzionari europei, ma lì ognuno perde il proprio titolo e ciò rende speciali i luoghi come questo, posti unici per chi desidera intrattenere ancora un legame con la magia dei libri stampati.

Da novembre 2018 insegno alla Scuola Europea, maestra unica di una classe italiana. La ricerca dei libri è dunque per loro, i miei alunni. I bambini e le bambine con cui lavoro sono tutti poliglotti, sanno parlare e leggere in più lingue, minimo tre. Tengo tantissimo a coltivare con loro la passione per la lettura gratuita, senza obblighi di aride schede e riassunti demoralizzanti.  Non ho potuto traslocare tutti i miei scaffali di libri per ragazzi e così sono stata “costretta” a trovare un “rimedio” alla mancanza. Se ho bisogno di un titolo sono sicura di trovarlo da Silvia. Uno dei primi libri acquistati in questa libreria (e recapitati a domicilio) è stato “C’era due volte il barone Lamberto” di Gianni Rodari, divorato in un soffio, letto e riletto, anche ad alta voce per me sola.

Durante il confinamento la lettura per puro diletto è stata impresa ardua, le ragioni sono tutte ancora da esplorare.  Mi ha aiutato moltissimo RaiPlay Radio, l’archivio ricchissimo di romanzi della rubrica Ad alta voce di Radio Tre.  Per rilassarmi e distendere la tensione dal lavoro prolungato al computer, ho cominciato a leggere con le orecchie libri parlanti, alcuni dei quali conoscevo già. È così che sono stata incantata dal timbro di Manuela Mandracchia che ha donato il suo talento per dare vita palpitante al barone Cosimo di Rondò e al bizzarro, stravagante barone Lamberto dell’isola di San Giulio. Non mi stancherei mai di ascoltarla: la sonorità cristallina, la dizione precisa e calda della Mandracchia è stata come un balsamo e ha riaperto fessure, varchi, ha scompigliato le carte e fatto riaffiorare quel gusto immenso, potente di offrire la propria voce per leggere per altri. Soprattutto, ha scatenato esplosioni di risate e soffiato in casa molto buon umore. Da qui è scattata la molla di leggere ad alta voce per i miei alunni a casa. Il nuovo tesoro scoperto alla radio l’ho tenuto però in serbo per quando saremmo rientrati a scuola, perché desideravo un coinvolgimento speciale, una condivisione in presenza per questo romanzo, che stranamente non avevo mai letto da bambina e da ragazza.

Il libro sorprendente di Rodari l’ho potuto leggere solo a settembre 2020, con una nuova classe, una quinta numerosissima che ha amato, come prevedevo, la storia e tutto quello che essa suscita, in chi legge e in chi ascolta. Non nascondo che in me risuonava ancora lo stile della Mandracchia; ho dovuto cercarne uno mio, ma il ritmo, l’intonazione, i picchi e le pause, l’intensità nei dialoghi li ho mutuati in parte da lei.

In mezzo alle montagne c’è il lago d’Orta. In mezzo al lago d’Orta, ma non proprio a metà, c’è l’isola di San Giulio. Sull’isola di San Giulio c’è la villa del barone Lamberto, un signore molto vecchio, assai ricco, sempre malato. Le sue malattie sono ventiquattro.

Lamberto è un signore parecchio eccentrico.  È  ipocondriaco ma in fondo è affezionato alle sue malattie, che tiene sotto controllo facendone una verifica minuziosa attraverso un bizzarro appello, cui partecipa il suo maggiordomo Anselmo. Ogni anno, in inverno, Lamberto e Anselmo vanno in Egitto, per scaldare le ossa. La nostra storia comincia proprio così, con una breve presentazione del protagonista e con un incontro surreale sulle rive del Nilo. Qui i due viaggiatori si imbattono in un santone arabo, che pronuncia una formula magica, un segreto dei faraoni, che sarà l’antefatto di tutta la rocambolesca vicenda che anima il romanzo.

L’uomo il cui nome è pronunciato resta in vita.

In seguito a tale incontro inaspettato il barone e il maggiordomo volano di corsa a casa e qui iniziano una serie di esperimenti. Lamberto assume sei persone, che vivranno nelle soffitte della villa, ben nascoste: guai a rivelare questo segreto a chiunque. I suoi misteriosi impiegati, pagati profumatamente, svolgeranno un ruolo fondamentale nello sviluppo degli eventi. Il loro lavoro consiste nel pronunciare ad alta voce il nome del barone, senza alcuna interruzione, di giorno e di notte. I sei dipendenti devono fare i turni, darsi il cambio, in quanto è assai faticoso ed usurante pronunciare senza sosta un nome ad alta voce. Una fitta rete di fili e di altoparlanti attraversa la villa, portando in ogni stanza, in ogni angolo della casa, la voce dei “dicitori” che pronunciano sempre la stessa parola, un nome proprio:

Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…

Ma non devono distrarsi, perdere il filo. Soprattutto, non devono abbassare la guardia, non si devono permettere di pronunciare il nome senza convinzione, con stanchezza, con tono noioso, togliendo valore alle sillabe, invertendo o saltando delle lettere, spostando gli accenti. Il barone controlla la pronuncia, annota il nome di chi deve essere redarguito e/o invitato a far sentire con forza la maiuscola del nome.
Mentre lavorano, i dicitori possono dedicarsi ad altre faccende, per non annoiarsi, per tenersi svegli. In cambio dell’insolito lavoro, di cui non conoscono ragioni e prodotto, ricevono un lauto stipendio più vitto, alloggio e caramelle a volontà. Una signora in particolare si pone domande, Delfina. Si chiede per quale motivo devono pronunciare sempre lo stesso nome. Gli altri cinque non le badano molto: in cambio di quella paga, tirano avanti a fare ciò che gli viene chiesto e si tengono occupati pescando dalle finestre o lavorando a maglia.

Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…

Col passar del tempo comincia a vedersi il “prodotto” di tale insensata fatica: se ne accorgono i lettori, perché i dicitori sono all'oscuro di tutto. 
Lamberto inizia a star meglio, il numero delle malattie diminuisce a vista d’occhio e, a vista d’occhio, Lamberto ringiovanisce. Recuperando forza e bellezza, levigatezza di pelle e brillantezza di capelli, energia fisica e mentale, Lamberto sembra cambiare anche su altri aspetti. Si dedica allo sport, va a nuotare nel lago, fa ginnastica, è sempre attivo in qualcosa. Nel frattempo, gli amministratori delle sue ventiquattro banche, anche loro di nome Lamberto, amministrano le sue ricchezze. Nel frattempo, Delfina è sempre più perplessa e in soffitta si continua a lavorare, instancabilmente.

Avvengono dei colpi di scena. Il romanzo è pieno di sorprese, che suscitano risate a non finire, a patto che il lettore legga con ritmo e con enfasi, con intenzione, non sbagli nulla, non confonda le voci dei personaggi, che sono tantissimi. Una bellissima fatica.

Non voglio rovinare il gusto della sorpresa, rivelare tutti i segreti del libro né svelare del tutto il finale. Sarebbe una perdita per il lettore. Mi preme raccontare ciò che è accaduto in classe e cosa è arrivato ai bambini e alle bambine, senza nessuna mia sollecitazione.

In qualche modo la formula del santone arabo ha agito su tutti. Su di me, che prestavo le voci, e sui bambini. Non leggo quasi mai seduta. Questo romanzo, poi, è impossibile da leggere stando fermi e composti. Lamberto si muove, si agita, attraversa il tempo e inevitabilmente ci si muove con lui.
Leggevo camminando, saltellando, animandomi tutta, voce e corpo, immergendomi di nuovo nella storia e nella sonorità dei timbri cangianti delle voci dei personaggi assorbite alla radio: le udivo ancora dentro di me, come un rapimento.
Senza che lo suggerissi, i bambini hanno cominciato a diventare loro stessi dei dicitori e quando stavo per leggere il nome Lamberto ripetuto ai microfoni della villa, ecco che quel nome proprio di persona riecheggiava fragorosamente nell’aula: i bambini attaccavano tutti insieme a ripetere

Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto, Lamberto…

Per tutto il tempo in cui abbiamo letto il libro, i bambini e le bambine hanno partecipato alla lettura, all’ascolto, alle vicende del romanzo. Abbiamo riso tanto, tantissimo. Se ami un libro lo puoi leggere un’infinità di volte, senza mai annoiarti; lo puoi leggere in piedi, muovendoti, lo puoi leggere ad alta voce, con una mascherina sul viso.
Mentre leggevo, mi accorgevo che stava accadendo qualcosa, in loro e in me: un barlume di consapevolezza ci ha investito: nominare qualcuno lo rende vivo, ancora più vivo di quanto non sia già.
Il segreto dei faraoni lo stavamo comprendendo nello stesso momento, senza rivelarlo: il nostro nome ci definisce, ci completa, è un elemento fondante la nostra vita, qualifica il nostro esserci qui ed ora.
Un giorno, non ricordo come sia successo, chiuso un capitolo, ho iniziato a pronunciare il nome proprio dei bambini, passando da uno all’altra. Mi hanno seguita e s’è creato quel caos bellissimo che benedico sempre nel mio mestiere.
Il nome proprio, che sia di genere maschile o femminile, non è un elemento dell’analisi grammaticale. È Lamberto il suo senso. Rodari ci ha fatto un dono impagabile. 

Nominare qualcuno ad alta voce, dire il nome, pronunciarlo bene, con intenzionalità, non è un particolare trascurabile. Difatti i bambini sono fierissimi quando noi insegnanti, già dal primo giorno di scuola, ricordiamo tutti i loro nomi: li riconosciamo e si riconoscono ascoltando il nome, sanno che sono lì e sono parte di una storia di cui sono protagonisti.
Abbiamo provato anche a dire a turno ognuno il proprio nome, a pronunciarlo bene, con consapevolezza: noi non ci chiamiamo mai, sono altri che ci chiamano, che ci dicono. 
Osservare gli sguardi e le espressioni dei bambini mentre pronunciavano il loro stesso nome proprio è stato magico. All’inizio c’era traccia di imbarazzo, di perplessità. Progressivamente, alla soggezione e al dubbio si imponeva il coraggio e anche il divertimento.  L’ho fatto anche io, come loro. In quell’occasione, dirmi, è stato incredibile. Io ero lì, ero Io, insieme a un gruppo di bambini e insieme esistevamo.

L’uomo il cui nome viene pronunciato resta in vita.

L’enigma del santone lo abbiamo sbrogliato insieme a Lamberto, che alla fine del romanzo, rinato fanciullo, si prepara ad essere una persona intera e spiazzerà tutti, anche i lettori. Ma questo lo scoprirete da soli.

(Quando un libro amato termina, rimane sempre un amaro in bocca. Si vorrebbe ricominciare. E allora suggerisco di rileggerlo, magari cullati dall’ avvincente intenzionalità di Manuela Mandracchia:

Iara Ciccarelli Dias

 

 

 

 


giovedì 7 maggio 2015

"A MOUSE TOOK A STROLL..."

 
 Recensione di 
Iara Ciccarelli Dias

The Gruffalo
Testi di:
 Julia Donaldson
Illustrazioni di:
 Axel Scheffler
Macmillan, 1999

Consigliato a partire dai tre anni.


C'è un libro per bambini che amo molto: A spasso col mostro1. Si tratta di un albo illustrato. È scritto in versi e in rima. I versi sono divertenti, cadenzati, facili da memorizzare e ripetere.
L'autrice è inglese. Finora l'ho letto nella traduzione italiana. Ai bambini piace sia per il testo sia per le illustrazioni, accattivanti, curate e ricche di particolari.
Quest'anno l'ho letto in lingua originale: oltre a Matematica, Scienze, Musica e Motoria, da settembre insegno anche Inglese in due classi terze. Sebbene sia stata io a scegliere di cimentarmi nell'insegnamento di L2, non posso nascondere le mie preoccupazioni ad avviare un lavoro in una lingua che sto studiando solo da due anni. Insegnare una lingua straniera non è semplice, non è ovvio, non è scontato.
Interrogativi, dubbi e tantissime perplessità: Come iniziare? In che lingua parlare? Cosa proporre? Sono entrata in classe piena di timori: non sono laureata in lingue, non conosco l'Inglese a tal punto da avere una perfetta pronuncia. Ho il diploma PET che certifica un livello di conoscenza della lingua che il M.I.U.R. ritiene sufficiente per rilasciare l'abilitazione all'insegnamento. Che significa insegnare la lingua inglese nella scuola primaria?
A parte tutte le considerazioni che possono emergere a tal proposito, mi sono detta che non sarei stata un'insegnante peggiore di altre, per lo meno avrei potuto trasmettere la passione per una lingua straniera e contagiare i bambini con la curiosità per un altro alfabeto, per altri suoni, per altre parole. Avrei imparato con i bambini, proprio come ho imparato ad amare la Matematica insegnandola. Questa speranza si sta realizzando. Mi accorgo di giorno in giorno che mi piace quest'avventura nell'universo linguistico inglese e mi piace come la sto affrontando. Riscopro anche l'entusiasmo iniziale, quello che anima le maestre a inizio carriera, appassionate di scuola, di bambini e della relazione magica che si crea facendo insieme.

In una riunione di inizio anno, le insegnanti delle medie hanno “chiesto” alle maestre di Inglese della primaria di concentrare l'attenzione sull'ascolto di parole frasi e canzoni. Insomma, avremmo dovuto sviluppare il “Listening”2 e non il “Writing” Ma come si fa a tenere separate le competenze? E come si può fare per mantenerle “unite”? Leggendo. Ho scelto The Gruffalo di Julia Donaldson, proprio quel libro che ero solita leggere ai bambini in italiano.
In libreria ho trovato una bella edizione in lingua originale con allegato un CD. Le illustrazioni sono grandi e il CD contiene la traccia audio del testo: una lettrice inglese legge la storia interpretandola in modo coinvolgente con voci, esclamazioni, sospiri e pause. 

Illustrazione tratta dal libro
La storia racconta di un topolino che durante una passeggiata nel fitto bosco incontra, uno dopo l'altro, una volpe una civetta e un serpente. Il topino sembra appetitoso e i tre animali vorrebbero mangiarlo ma il topo, piccolo ma astuto, riesce a ingannare i predatori dicendo che deve incontrare una creatura chiamata Gruffalo. Il topino descrive l'essere aggiungendo sempre nuovi particolari spaventosi e per renderlo più terribile dice a ciascuno di loro che il piatto preferito del Gruffalo è la volpe arrosto, il gelato di civetta e il pasticcio di serpente. 
A questo punto i tre avventori affamati fuggono via spaventati e il topino continua a passeggiare fischiettando, burlandosi della loro stoltezza. Mentre passeggia ridacchiando, s'imbatte nel mostro che pensava di essersi inventato. Il Gruffalo vede la piccola creatura e vorrebbe mangiarla. Il topolino però riesce a burlarsi anche del mostro gigante che alla fine della storia si convince di avere di fronte un terribile topo malvagio. 
L'albo è consigliato a bambini a partire dai tre anni di età. Io lo leggo di solito in italiano fino alla terza classe. Non è una storia scontata e non è prevedibile. Il topino descrive una creatura mostruosa senza essere consapevole della sua esistenza. Quando finalmente scopre che si tratta di un essere reale, non fugge, non si scoraggia. Ha fiducia in se stesso, rischia, azzarda. Usa l'intelligenza e la logica per prendere in giro un mostro molto più grande, molto più forte, che potrebbe divorarlo in un istante. Ai bambini non piacciono i libri ovvi, non piacciono le storie in cui si intuisce il finale fin dall'inizio. Il Gruffalo è pieno di sorprese che aiutano i bambini a intuire che niente è come appare: un piccolo topo marrone può essere molto più furbo della volpe, più saggio della civetta e più cinico del serpente e prevalere su un mostro grande e grosso dotato di artigli, zanne e denti minacciosi. 

Illustrazione tratta dal libro
Anche il testo inglese è in versi e in rima. Rime gustosissime e sonore. Si intuisce un ritmo e una musicalità piacevoli. Oltre ad essere gradevoli per i suoni che esse mettono in risalto, le rime aiutano a memorizzare la pronuncia e a ricordare le parole. I bambini ricordano il lessico se è associato a qualcosa che ha senso per loro e un contesto piacevole facilita la memorizzazione. 
Al termine del libro abbiamo realizzato un cartellone: un grande foglio ospita un grande Gruffalo, il topino e i tre malcapitati predatori. Ci sono gli alberi, la casa della civetta, della volpe e del serpente; c'è un sentiero e una roccia. C'è il sole, le nuvole, il cielo, farfalle, lucertole e uccellini in volo. I bambini hanno scritto vicino a ogni disegno la parola inglese corrispondente: quando ho distribuito dei foglietti dove scrivere, erano contenti di poterlo fare, eccitati e curiosi, ma non intimoriti. Alcuni si sono cimentati da soli, guardando il quaderno alla ricerca della parola da scrivere; altri venivano vicino a me e insieme abbiamo ricordato la parola e l'abbiamo scritta, pronunciando cioè lettera per lettera usando l'alfabeto inglese.
Disegno di un bambino
Mentre lavoravamo per la realizzazione del cartellone, mi rendevo conto che non è necessario cambiare metodo in L2: possiamo affrontare l'insegnamento-apprendimento di una lingua straniera nello stesso modo in cui impostiamo le attività di letto-scrittura in Italiano. L'essenziale è partire da da un tema-argomento scatenante attività e giochi di lettura e scrittura. Un buon libro per bambini, possibilmente di un autore riconosciuto e valido per scrittura e tematiche affrontate, può rappresentare un contesto di apprendimento motivante. È indispensabile che l'insegnante non assuma un atteggiamento “integralista” nel rapporto con la lingua straniera: non si può pensare di usare l'Inglese come unica o prevalente lingua veicolare in classe, soprattutto agli inizi. L'obiettivo non è quello di stressare i bambini, di farli sentire inadeguati. Bisogna dosare il grado di difficoltà e presentare in Inglese solo ciò che si è sicuri che possa essere compreso attraverso l'intuizione e la logica, attraverso anticipazioni di significato guidate dal contesto di riferimento.
Se si presenta un libro è opportuno che l'avvicinamento al testo sia sereno, leggero. I bambini devono poter percepire il gusto e l'entusiasmo dell'insegnante-lettore. Si deve procedere guidando passo passo i bambini alla scoperta di altri suoni, di parole che saranno ricordate perché significano qualcosa di fondamentale per comprendere la storia, come i nomi dei personaggi principali. La lettura rappresenta sempre un'avventura, un viaggio. Leggere/ascoltare un libro in un'altra lingua apre porte inattese anche in bambini che sembrano indifferenti o si dichiarano non interessati alla lingua. La storia trascina, stimola la curiosità, scatena domande e riflessioni, attiva la logica.

Mentre leggevo i versi, mimavo le parole e i verbi che via via pronunciavo: i bambini si divertivano a indovinare cosa stessi mimando e associavano il significato alla parola letta. Era un gioco, una lettura attiva. Nessuno si è sottratto, nessuno è rimasto solo a guardare. C'era caos, ma era un disordine creativo e stimolante, pieno di buone speranze.
La fase successiva era forse più noiosa per i bambini, ma necessaria: si trattava di fissare sul quaderno le parole apprese: un' ulteriore tappa per la memorizzazione del lessico. Non si può tralasciare la scrittura nell'apprendimento di una lingua, è fondamentale. Inoltre i bambini si sentono gratificati nel momento in cui riconoscono le parole e il loro significato. I quaderni andavano via via arricchendosi di disegni e di nomi, di aggettivi, di verbi.
Una volta letta-mimata una parte, facevo ascoltare lo stesso brano dal CD, con la fluidità di un lettore madrelingua, con la giusta intonazione. E allora accadeva una magia: i bambini si accorgevano di comprendere ciò che stavano sentendo. Sentivano pronunciare le parole che avevano trascritto e ne ricordavano il significato. Se non tutto, comprendevano il senso generale. Si percepiva dai loro occhi, attentissimi a catturare i suoni che richiamavano una parola. 

Quando abbiamo concluso la lettura, ho atteso un po' prima di proporre la visione del cartone animato tratto dal libro. Il filmato è in rete. È in Inglese, completo. È stata una sorpresa per loro e per me. Non mi aspettavo un'attenzione così partecipata. Alcuni bambini parlottavano tra loro, commentando le scene. Il cartone comprende una sequenza non presente nel libro: dopo averla vista, ho interrotto la proiezione e ho chiesto loro se mi sapevano dire cosa stesse accadendo.
Immagine del film: https://vimeo.com/90957237
Le immagini aiutano a sviluppare le aspettative di coerenza: non si sono fatti intimorire dal fatto che non capissero cosa stessero dicendo i personaggi. Tutti hanno compreso la scena, avvicinandosi moltissimo al significato delle parole. So che a casa, alcuni di loro continuano a guardare il cartone. Me lo dicono, tutti entusiasti. Altri hanno comprato il libro, nella versione italiana. È nata una bella discussione collettiva riguardo la traduzione di un libro da una lingua all'altra. Tradurre è tradire? È modificare e stravolgere? La storia è la stessa, ma le parole no. Leggendo il libro in italiano, i bambini si sono accorti di alcune differenze e mi hanno chiesto perché, per esempio, “His favourite food is Owl ice cream”3 fosse diventato “e mangia civette con tutte le piume”4. Una bambina ha osservato:
«Due lingue diverse devono raccontare la storia con parole diverse! Le rime non possono essere le stesse!» Infatti come si può rendere la stessa rima traducendo alla lettera le parole e le frasi? “Wood” fa rima con “good” ma “bosco” non fa rima con “buono”.
Se i bambini si appassionano a un libro, se si divertono mentre imparano; se le parole evocano dei significati anche affettivi, la lingua straniera non sarà un ostacolo, non sarà un nemico. Una bambina mi ha detto: «Maestra, ora Inglese mi piace, mi piace il Gruffalo!»

Recensione pubblicata nella rubrica Letture del n° 2/2015 di CE. 

1Julia Donaldson, A spasso col mostro, Edizioni EL. Edizione italiana de The gruffalo.
2Listening, Speaking, Reading, Writing sono le competenze linguistiche corrispondenti a Ascoltare, Parlare, Leggere, Scrivere.
3Julia Donaldson, The Gruffalo, p.8: Il suo cibo preferito è il gelato di civetta.
4Ibidem, edizione italiana, p.8.

lunedì 23 marzo 2015

LA PIETA' NON AIUTA A CRESCERE


Anne Fine
Come scrivere da cani
(How to write really badly)
BURragazzi, 2000
Illustrazioni di Philippe Dupasquier
Postfazione di Antonio Faeti
Consigliato a partire dai dieci anni

Recensione di Iara Ciccarelli Dias

 Diamo la parola alla scrittrice del libro scelto per questo numero, Anne Fine:

La maggior parte dei miei libri, anche quelli per bambini piccoli, tratta di problemi sociali piuttosto seri. Io sono stata sempre affascinata da come gli individui se la cavano in situazioni familiari conflittuali e sono convinta che le vicende personali abbiano risvolti sociali e politici. Ma la gente non ama i libri problematici e io stessa preferisco trovare nelle vicende aspetti divertenti e soluzioni positive. E poiché, in realtà, creo storie per il lettore che è in me, finisco sempre per scrivere romanzi che avrei voluto leggere io, se solo qualcuno si fosse preso la briga di scriverli1.



Anne si concentra non solo sulle situazioni familiari complicate. 
Anne Fine
I suoi temi preferiti sono le tensioni che emergono nel difficile rapporto tra bambini/adolescenti e adulti. Accade sempre qualcosa quando un bambino o un adolescente si confronta col mondo dei grandi: scintille di incomprensione, difficoltà o vuoti di comunicazione, tentativi di affermazione maldestri, temerari, bruschi, spavaldi2. Non sempre c'è un adulto capace di andare oltre, di scavare e far emergere quello che si cela dietro alcuni atteggiamenti che potrebbero apparire problematici, cinici, aggressivi, ostili. 

Non sempre c'è un papà disposto a mettersi talmente in gioco da travestirsi da governante pur di stare accanto ai propri figli, che crescono smarriti all'interno di una famiglia divisa per le contese tra genitori.3  Nelle sue storie niente finisce male; le tensioni e le difficoltà non sfociano in situazioni irreparabili e tragiche. Per ogni pena e problema c'è una via d'uscita, una soluzione dettata da intelligenza, creatività, acume e volontà. Anne Fine scruta ciò che accade all'interno delle relazioni adulto-bambino, le sviscera. Mette a nudo i caratteri, le fragilità, i lati oscuri. Indaga e fa venir fuori tutto, sempre con un tocco di ottimismo e ironia. Qui sta la sua forza: riesce a combinare magistralmente tragedia e commedia; sa fondere abilmente la realtà con la fantasia, con l'umorismo, addirittura con l'assurdo.


I romanzi di Anne Fine non si dimenticano facilmente: restano dentro, impressi nella memoria e nella coscienza. Non solo per i temi trattati. La sua è una scrittura densa, spessa, impegnata, ma fluida e scorrevole.
Scorre veloce la lettura di Come scrivere da cani. È necessario però non affrettarsi, non essere precipitosi: il libro cattura ma ha bisogno di essere “posseduto” con la giusta lentezza. Consiglio di soffermarsi sui dialoghi, di prestare attenzione alle parole che si scambiano i protagonisti: due ragazzi e un'insegnante. L'età dei giovani protagonisti non è definita in modo esplicito, si evince dal contesto. Sembrerebbe trattarsi di due studenti di 9-10 anni. Si chiamano Joe e Chester: un uccellino e un rapace; un bambino spaurito smarrito insicuro ingenuo e un ragazzo estroverso navigato brillante sfrontato brutale cinico presuntuoso.
Chester ha cambiato scuola più volte, passando da una città all'altra e da un istituto all'altro. Nonostante i continui trasferimenti, se la cava piuttosto bene a scuola, è arguto, ha un notevole amor proprio. Ma non lega con gli altri. Mantiene sempre una distanza un po' sprezzante. La famiglia si sposta per seguire il lavoro della mamma, donna in carriera. Il papà fa il casalingo, trascorre gran parte del suo tempo in cucina, dove Chester la sera fa i compiti chiacchierando col padre.
Illustrazione di Philippe Dupasquier

Il libro comincia così: la scrittrice ci presenta i personaggi facendoci entrare nel vivo della storia. Ma a raccontare è Chester, appena arrivato nella nuova scuola. Suo è lo sguardo, suo il linguaggio. Probabilmente stiamo leggendo un diario o delle memorie. Non lo sappiamo, non è rilevante. Ci interessano gli eventi, le tensioni che si vengono a creare, le soluzioni adottate, il finale inatteso e spiazzante per il narratore stesso. Iniziamo a leggere e intanto varchiamo la soglia di un'aula, dove sembra regnare l'armonia e il piacere di fare. Immediatamente facciamo la conoscenza della maestra, Miss Tate, intenta a illustrare ai suoi allievi un lavoro da svolgere in vista di una mostra scolastica. Chester va a sedersi in fondo all'aula, al posto che la maestra gli assegna, accanto al banco di Joe. 
Illustrazione di Philippe Dupasquier
Joe e C
Joe ha evidenti difficoltà di apprendimento. Non ha il senso del tempo, non sa scrivere in modo ortograficamente corretto parole e numeri. Ha difficoltà a leggere e sillaba ogni singola parola. Non riesce a scrivere in colonna i numeri per eseguire una addizione o una moltiplicazione. Inverte la posizione delle cifre. Non arriva a comprendere le frazioni, eppure la maestra gliele spiega più volte. Non riesce a calcolare quanto fa sette per otto e poi otto per sette. Joe finge di aver capito per rassicurare l'insegnante e la maestra finge di credere che davvero lui abbia capito.
Miss Tate sembra entusiasta del proprio lavoro, è appassionata a suo modo. Sa che Joe ha delle difficoltà e vuole aiutarlo. Però non comprende fino in fondo che il suo accanimento è una tortura per Joe. Chester non si fa scrupoli di rinfacciare alla maestra l'inefficacia e l'inutilità dei suoi sforzi:

(…) Un giorno le chiesi:
«Perché lo tortura così?»
Miss Tate inorridì, si sentì accusata. «Torturarlo? Che cosa vuoi dire? Stavo solo chiedendo a Joe se ha capito».
«Ma Joe non sa se capisce».
«Forse a un certo punto lo saprà. Ad alcune persone capita.» E mi voltò la schiena. 4
(…) Ce l'aveva con me, si capiva. Ma anch'io ce l'avevo con lei. Come poteva continuare, settimana dopo settimana, a comportarsi come se, in fondo in fondo (…) il cervello di Joe fosse uguale al mio o al suo? Perché non si rendeva conto che i suoi ingranaggi non funzionavano come i nostri?5

Miss Tate non se ne rendeva conto perché aveva un approccio pietistico nei confronti di Joe. E Joe non si scuoteva, non reagiva fino a quando il nuovo venuto cominciò ad interessarsi a lui nel modo scontroso, brusco e cinico che lo contraddistingue. Chester si occupa di Joe adottando con lui, con estrema e brutale naturalezza, una “terapia d'urto”: gli parla senza mezzi termini, gli dice in faccia che è una frana ma non lo deride, non lo insulta, non gli volta le spalle. Non è pietoso. Non lo commisera.  
Illustrazione tratta dal libro "Come scrivere da cani"
Giorno dopo giorno, il “rapace” aiuta Joe sostenendolo nei compiti, insegnandogli dei trucchetti per cercare le parole sul dizionario, per memorizzare le parole difficili e scriverle in modo corretto. Quando Miss Tate assegna a ogni alunno il compito di redigere un manuale su un argomento a piacere, Joe non sa quale argomento scegliere. Non si sente bravo in niente, sa che combinerà dei pasticci. Chester gli propone di scrivere un manuale su una abilità che solo lui ha: “come scrivere da cani”. Joe accoglie la sfida. Lo scopo è spingere Joe a impegnarsi con un atteggiamento non distruttivo, non da perdente. Chester sa però che quel manuale non vincerà alcun premio alla mostra di fine anno. Non ci sono premi per chi non sa scrivere, non sa leggere, non capisce la matematica e non si 
presenta secondo quanto la scuola prescrive. 


Joe aveva mostrato all'amico delle foto delle sue creazioni, decine di costruzioni geniali realizzate con ogni tipo di materiale. Chester ne era rimasto colpito: come può un ragazzo tanto inconcludente essere così creativo e abile manualmente? Il vero talento del goffo e insicuro compagno doveva essere messo in risalto. Il brutale e presuntuoso ragazzo decide quindi di compiere un piccolo atto criminoso e cambia la lista dei premi. Cancella la voce “migliore lavoro di aritmetica” e la sostituisce con “migliore costruzione fatta in casa”.
Chester, con l'aiuto di un operaio della ditta della madre, carica su un furgone tutte le invenzioni di Joe e le porta a scuola. I compagni di classe restano affascinati, stregati.  

Illustrazione di Philippe Dupasquier
Al momento della consegna dei premi Joe riceve dalla maestra una medaglia. Miss Tate in questa occasione
 sembra capire davvero il suo alunno:

Sapevo che avevi dei talenti nascosti. Ora so quali sono, e verrò da te ogni volta che avrò bisogno di modellini per la matematica6.

C'è un'altra medaglia da consegnare. Un premio extra, deciso dagli alunni. È la volta di Chester, “il ragazzo più disponibile della classe”. Tutti i compagni hanno votato per lui perché Joe ha raccontato a gran voce come è stato aiutato. Il brusco, arrogante Chester è colpito, sorpreso, spiazzato. È contento. Quel premio inatteso gli ha permesso di svelarsi a se stesso. È un riconoscimento che sgretola il muro di indifferenza e cinismo che si è costruito per difendersi dagli altri. Finora ha giocato la parte del duro, dell'autarchico, dell'inaffidabile. Forse ora deve davvero meritarselo, quel premio e cominciare ad essere veramente un compagno disponibile e gentile.

Leggendo il libro la mente scorre i volti dei miei alunni, quelli attuali e quelli che ho lasciato. Penso ad Alessio, a Federico, a Marina, a tutti quei bambini che scrivono in modo quasi illegibile, che svolgono gli esercizi come se stessero facendo un piacere all'insegnante; a quelli che hanno difficoltà a ricordare le tabelline, che scrivono “da cani”. Come agire con loro? Che approccio adottare? Da tre anni “lotto” con un bambino che a giorni alterni mi regala fiori e spade. Andare d'accordo con F. è difficilissimo, si è sempre sulla cresta dell'onda, sempre in bilico. Ciò che ci sta aiutando, da un anno in qua, è la geometria. È la carta. Quando si innervosisce sa che può prendere un foglio di carta e farne ciò che vuole. Allora mi porta ogni tipo di invenzione, scatole, girandole, barche, biglietti. A ricreazione si avvicina con un sorriso malandrino e mi chiede di aiutarlo a costruire qualcosa. I compagni hanno riconosciuto la sua abilità, si rivolgono a lui per avere un aiuto in geometria. Ho alzato la posta in gioco con questa disciplina. Mi invento disegni e lavori sempre più complicati e F. sta lì. Ricettivo, attentissimo e pronto a risolvere le difficoltà dei compagni. Anche il suo quaderno sta cambiando aspetto. Piano piano sta diventando più curato.
Il romanzo di Anne Fine ha risuonato in modo potente dentro di me, nutrendo delle riflessioni che coltivo da tempo: in cosa consiste veramente il nostro lavoro di insegnanti? Qual è il giusto approccio di fronte a bambini come Joe? Fino a che punto possiamo spingerci nel nostro accanimento didattico? In quale misura possiamo intervenire in modo efficace senza torturare i bambini, senza fargli vivere la scuola come una prigione, come un luogo cui fuggire per cominciare a fare, fuori, cose davvero interessanti?

Recensione pubblicata nella rubrica Letture della rivista CE del MCE, n° 1/2015

1http://www.annefine.co.uk/ Anne Fine è una delle più affermate scrittrici inglesi per ragazzi e per adulti.
2Anne Fine, Non c'è campo, Salani
3Anne Fine, Un padre a ore (MRS Doubtfire), Salani
4Anne Fine, Come scrivere da cani, BuRagazzi. p. 56
5Ibidem, p.59
6Ibidem, p. 96

mercoledì 7 gennaio 2015

UNA SCUOLA LIBERTARIA DOVE RIFUGIARSI DALLA GUERRA



Eva Ibbotson 
Lo specchio delle libellule 
Salani, Milano, 2010
(titolo originale The Dragonfly Pool)
Traduzione di Paolo Antonio Livorati
Romanzo adatto a ragazzi e ragazze a partire dai dieci anni



Recensione di Iara Ciccarelli Dias
Lo specchio delle libellule1 non è un romanzo qualsiasi. È un'opera di fantasia, una storia d'avventura e, insieme, un romanzo di formazione con numerosi cenni storici: ci svela qualcosa della vita dell'autrice e qualcosa della storia dell'Europa durante la Seconda guerra mondiale.
Eva Ibbotson è nata in Austria nel 1925 ed è morta nel Regno Unito il 20 ottobre 2010. Il suo vero nome è Maria Charlotte Michelle Wiesner. A causa delle leggi antisemite, emigra giovanissima in Inghilterra. Qui frequenta per un certo periodo una scuola speciale di cui conserva vivi ricordi. Accade spesso che un luogo significativo nella vita di una persona si conservi intatto nella memoria con un potere evocativo molto forte. È quel che accade a Eva: una volta adulta, la scrittrice recupera il suo luogo magico restituendolo al lettore con candore e limpidezza, facendolo diventare protagonista inanimato ma centrale di una storia. 
 
Un'assemblea a Summerhill
All'inizio del romanzo Eva avverte il lettore che nella sua opera ha inserito un dato reale appartenente alla sua storia personale: la frequenza di una scuola progressista. La scuola libertaria Delterton Hall che compare nel libro è realmente esistita, seppure con un nome diverso: nella realtà si chiamava Dartington Hall School. Era una scuola non repressiva, come la più famosa Summerhill fondata da Alexander Neill. 

Al suo arrivo a Dartington Eva reagisce come la protagonista del romanzo, Tally, di undici anni, l'alter-ego della scrittrice. Stupore e smarrimento.Attraverso le lettere di Tally al padre ricostruiamo il profilo di una scuola che nel 1987 è stata chiusa per uno scandalo mal gestito. David Gribble2, con altri due colleghi, insieme a un gruppo di genitori e allievi, capirono che non si poteva perdere la sostanza del metodo educativo che si seguiva a Dartington e fondarono una nuova scuola, la Sands School, tuttora attiva. Storia e finzione si intrecciano senza soluzione di continuità: Eva condivide con il lettore la sua straordinaria esperienza in una scuola speciale dove le lezioni di biologia cominciavano alle quattro di mattina. Con lo sguardo incantato di Tally scopriamo i principi educativi che tuttora animano le scuole libertarie, conosciamo l'organizzazione interna, le assemblee democratiche, le attività, i corsi, i rapporti speciali tra alunni e insegnanti. Eva e Tally frequentano Dartington/Delterton durante la Seconda guerra mondiale, proprio quando il re d'Inghilterra annuncia alla radio l'entrata in guerra della nazione contro la Germania di Hitler. Dal tetto della terrazza della palestra Eva/Tally vede bruciare Plymouth, a cinquanta chilometri di distanza.

Tally arriva a Delterton senza sapere nulla della scuola che la ospiterà. È convinta che si tratti di un collegio per ricchi, uno di quelli frequentati dai suoi cugini, con tanto di regole impossibili, dormitori, scherzi notturni, divise e inchini al preside. Ma già alla stazione di Londra inizia a capire che il suo destino non sarà quello di frequentare una comune scuola privata per sole ragazze. Delterton ha la fama di essere un nido di ribelli, indisciplinati e promiscui ragazzi che danno del tu agli insegnanti: questi giudizi ricorrono spesso nel romanzo, a testimonianza di come venivano considerate le scuole libertarie. Scuole che ospitavano insieme ragazzi e ragazze e non differenziavano il tipo di istruzione in base al genere di appartenenza. I principi educativi di Delterton/Dartington animano tutte le pagine del romanzo, facendolo diventare qualcosa di palpitante e vivo nelle mani del lettore, che divorerà il libro con uno slancio e una passione simili a quelli di Eva mentre lo scriveva. 
 
Summerhill School
The dragonfly pool è un inno alla libertà dalle costrizioni, dagli obblighi di etichetta, dalla violenza dei sistemi totalitari, dalla furia arbitraria e cieca della guerra che ha colpito l'Europa intera. Delterton è il luogo dove è possibile capire chi si è e cosa si è in grado di fare; il luogo in cui si impara a riconoscere nel diritto alla libertà la condizione unica per vivere in equilibrio con se stessi. 
Mentre si susseguono le lezioni, Tally e i suoi amici ricevono l'invito a partecipare a un festival internazionale di danze popolari in una piccolissima nazione europea, la Bergania. Tally convince il preside a partecipare all'evento: bisogna andare assolutamente a rendere omaggio al re di questo minuscolo paese che con coraggio ha negato alle truppe di Hitler il permesso di attraversare i suoi confini in caso di guerra. In lei c'è una tale determinazione che contagia tutti. Una delegazione di studenti si prepara a partire. Con loro andrà Matteo, l'insegnante di biologia, che nasconde un segreto. Un segreto legato alla giovinezza del re. Matteo è un cittadino berganiano. Durante l'inaugurazione del festival viene ucciso il sovrano del paese, è un attentato alla libertà di un popolo. Il mandante dell'omicidio è la Gestapo. I ragazzi di Delterton, animati dallo straordinario istinto di Tally, aiutano Karil a fuggire: il principe ereditario al trono è in pericolo. Matteo, in nome dello stretto legame d'amicizia che lo univa al re, si assume la tutela del ragazzo e partecipa alla fuga. Non c'è da scherzare con i sicari assoldati dalla Gestapo. 
Il viaggio di ritorno in Inghilterra è pieno di insidie, ma anche di occasioni per dimostrare di che pasta sono fatti i ragazzi di Delderton. Tra loro c'è Kit, un ragazzino pauroso, timido, impacciato, represso, in perenne difficoltà con le non-regole della scuola. Durante il viaggio Kit avrà l'opportunità di aiutare Karil e di riconoscere dentro di sé uno spirito combattivo, coraggioso. Kit è importante nel romanzo, dà voce a quei ragazzi che hanno difficoltà a trovare in sé la forza per gestirsi in autonomia, senza che qualcuno da fuori dica e imponga confini, regole e comportamenti. All'inizio del romanzo Kit confida ai suoi amici qualcosa di molto importante per comprendere che la conquista della libertà non ha a che fare con l'apparente assenza di regole prescrittive: «A me non dà fastidio essere represso. Non mi piace quando mi dicono che posso fare quello che voglio. Io voglio che mi dicano che cosa fare.»3  
Un metodo d'insegnamento, una didattica, un modo di fare scuola non è valido di per sé, si misura sempre con i ragazzi con cui stabiliamo la relazione educativa. A volte, una didattica attiva libera da schemi precostituiti e riconoscibili può disorientare, confondere e agitare. Per alcuni bambini il passaggio dalla motivazione manipolata e coatta alla conquista della motivazione interna è più fluida; per altri il percorso è più complicato, lungo e irto di ostacoli, per sé e per gli adulti di riferimento. Sono aspetti cui tener conto, sempre. Non si può dare per scontato che un certo metodo possa andar bene per chiunque da subito. 
 
Il romanzo è lungo ma scorrevole e avvincente. Non posso rivelare tutti i colpi di scena, priverebbero il lettore del piacere della scoperta. 
Eva Ibbotson condisce il romanzo di simboli e di messaggi che non hanno nulla di retorico e istruttivo. È significativo per esempio l'inserimento del mito di Persefone e Demetra all'interno di una storia che racconta la lotta per l'autodeterminazione di un bambino perseguitato (Karil), di un piccolo paese ingannato (la Bergania) e di molte nazioni imprigionate in un conflitto mondiale. 
Il destino del singolo è legato al destino di tutti: il destino di Persefone ricade sulla Madre che disperata dimentica i suoi doveri e lascia che piante fiori ed erba muioano. I ragazzi di Delterton trovano che il mito sia «un argomento pertinente da affrontare in un momento in cui il mondo sembrava avere per la testa tutt'altro che rinnovarsi».4 
Nel mito c'è tutto: c'è il ciclo di morte e vita della natura. Tally e i suoi compagni lo comprendono e decidono di mettere in scena il rapimento e la rinascita di Persefone.

Recensione pubblicata in CE nella rubrica Letture,  n° 4/2014


1 Eva Ibbotson è stata una scrittrice poliedrica: ha scritto di streghe, fantasmi, creature improbabili, contesse segrete, principi in fuga, zie e istitutrici sorprendenti, viaggi avventurosi. In Italia è edita da Salani Editore.
2 David Gribble è il fondatore della Sands School. Per ulteriori informazioni si può leggere di lui e della scuola al seguente indirizzo: http://www.libera-unidea.org/foto%20mostra%20scuola/pannello%2017%2018%2019%2020%20-%20sands%20school.pdf
3 Lo specchio delle libellule, pagina 61.
4 Ibidem, pagina 92